Un viaggio da Shiraz al Kerman | Exploring Iran

Una viaggio nella Persia che incantò Marco Polo.


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“Signora mi scusi se le dò le spalle”.

“Si figuri, un fiore non ha spalle”. Così ti rispondono a Meybod, cittadina della regione di Yazd, nel centro dell’Iran, con meno di 100 mila abitanti; nel negozietto di piatti e stoviglie di porcellana, la signora col chador nero accoglie i visitatori e tratta sui prezzi in una delle nicchie del caravanserraglio Abbasi, costruito quattro secoli fa dalla dinastia safavide, famiglia discendente da un famoso sufi.

“Welcome to Iran, have a good trip”, dice un padre di famiglia con un inglese basico ad una coppia di italiani che girano per il caravanserraglio; uno dei 999 costruiti nel periodo safavide, che oggi è pieno di turisti; siamo alla vigilia della festa della nascita di Maometto, e in Iran la gente ha iniziato a viaggiare; tanti i turisti locali e stranieri; il freddo dell’inverno ed il gelo delle sanzioni di Trump non hanno impedito a francesi, tedeschi, spagnoli e lituani di essere presenti.

Meybod è la capitale nazionale della produzione dello Ziloo, una sorta di tappeto rudimentale su cui appare il simbolo antico della Persia, il cipresso, che nel pieno della tempesta, si piega ma non si spezza; è sicuramente una metafora adeguata per un paese che nel 40esimo anniversario della sua Repubblica, deve cercare di non spezzarsi dinanzi alle sanzioni statunitensi.

Lo Ziloo è stato registrato nel Patrimonio Intangibile dell’umanità, la stessa città di Meybod è nella “Tentative List”, quella dei luoghi papabili per la registrazione mondiale; il paesaggio è dominato dal colore giallo ocra dell’adobe, questo misto di sabbia, paglia e sassolini, usato come intonaco per le case in questa regione dall’era Sassanide; dinanzi al caravanserraglio si erge una ghiacciaia, struttura a forma di trullo che serviva per immagazzinare il ghiaccio e l’acqua fresca; più in là scorre ancora oggi l’acqua di uno dei Qanat, i proverbiali canali idrici sotterranei che partivano dal nevaio delle montagne per portare nelle città l’acqua fresca.

Quelli stessi Qanat che gli arabi musulmani appresero dai persiani zoroastriani nel settimo secolo dopo Cristo e che portarono anche in Sicilia; i Qanat di Palermo, altro candidato per la lista dell’UNESCO, provengono da questi luoghi.

Se i caravanserragli, i Qanat e le ghiacciaie possono anche essere qualcosa di immaginabile, non si può dire lo stesso delle piccionaie, queste torri incredibili che il visitatore straniero non ha mai visto.

All’interno della piccionaia di Meybod ci sono 4400 cellette dove gli uccelli nidificavano e trovavano riparo in inverno; venivano considerati sacri, a loro non si dava fastidio e la torre veniva costruita solo per raccogliere il guano, ottimo fertilizzante per le piantagioni di melograno; quel melograno che insieme ai piccioni ed al sole, appare sui piatti di Meybod.

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