Narcos, armi e sesso

Come Thelma e Louise, chiunque voglia sfuggire alla legge americana pensa immediatamente al Messico. Il Paese più vicino e senza nessun controllo alla frontiera.

La California ha tre accessi per raggiungere il Messico che passano per le città di Mexicali, Tecate e Tijuana. Un quarto, quello di Algodones si trova all’interno della riserva indiana dei Quechan, al confine con l’Arizona.

Noi abbiamo raccolto la storia di Paolo, un ragazzo di Roma arrivato a San Francisco per lavorare come orafo nel 2004 con un visto turistico. Quando nel 2006 è voluto ritornare in Italia, per non aver guai alla frontiera, ha guidato con la sua automobile fino a San Diego. Qui l’ha venduta in uno dei tanti rivenditori dell’usato, come quelli che si vedono nei film della migliore tradizione americana. Quindi ha preso un taxi fino a Tijuana e con tutte le valigie, ha passato la frontiera, senza che nessuno lo fermasse, gli chiedesse un documento o il contenuto dei quattro enormi bagagli che si portava dietro. Da questa città messicana ha poi preso l’aereo per tornare in Italia. Come Paolo, anche noi siamo entrati per il Messico attraverso Tijuana per ben tre volte, non siamo mai stati fermati e neanche siamo stati mai avvicinati da un poliziotto. I problemi sorgono invece quando bisogna attraversare il confine dal lato del Messico verso gli Stati Uniti.

In questa situazione comincia l’Odissea e non solo nei tempi recenti. Presso il faro del porto della città è stato eretto un muro che arriva fino a dieci metri sul mare e divide le due nazioni. Lungo il muro, su lato messicano, sono poggiate le croci con i nomi di ogni messicano morto ammazzato mentre provava a superare la frontiera per fuggire dalla guerra e cercare una nuova vita, migliore, negli Stati Uniti. Naturalmente sono i soli nomi ufficiali. Qui c’è anche un pezzo d’Italia, anche la nostra è una nazione di emigranti e ha regalato al Paese un obelisco, posto lungo questa frontiera a ricordarne il confine e come omaggio a un popolo fratello e meno fortunato.

Oggi questo lembo di terra è stato depauperato di ogni ostacolo naturale e il tratto che va dal faro di Tijuana fino al Parco del Confine in territorio americano è perlustrato notte e giorno da elicotteri, polizia e truppe speciali motorizzate, che ne rendono impossibile il passaggio per questo lembo di spiaggia. E’ più semplice superare la frontiera dalla dogana cercando di nascondersi come si può contro le perquisizioni della polizia di confine. Noi abbiamo sperimentato per tre volte il ritorno “legalmente” dal Messico, attraverso Tijuana, agli Stati Uniti. I controlli certosini creano file di decine di chilometri. La prima volta abbiamo fatto una fila di 3 ore, partendo la mattina presto. La seconda volta abbiamo impiegato quasi 5 ore, partendo a mezzogiorno. L’ultima volta è andata meglio: un’ora e mezza di fila alla barriera, partendo all’una di notte, ma siamo stati fermati, perquisiti e interrogati all’ufficio di frontiera per trenta minuti e abbiamo dovuto spiegare come mai in quattro giorni siamo usciti tre volte dal Messico.

Lungo tutta la strada che si percorre, a molto meno di un passo d’uomo, per giungere alla frontiera per gli Stati Uniti s’incontrano decine di disperati che chiedono l’elemosina e c’è chi vuole venderti dei ricordi del Messico, statue della Madonna o tartarughe giganti in porcellana, e poi ci sono le carrette con cibo, bevande e altri prodotti per ritemprarsi dalla lunghissima coda. Quelli che ti strappano sicuramente una moneta sono i bambini, il più grande che abbiamo visto avrà avuto dieci anni. Sono degli improvvisati giocolieri che con tre, quattro o cinque palle o birilli, le fanno rotolare sopra la loro testa e la tua macchina. Alcuni sono in coppia, l’uno sopra la schiena dell’altro oppure sulle spalle.