Brand Journalism

Quando studiavo all’università giornalismo, ormai quasi vent’anni fa, c’erano i giornali con i giornalistiti che raccontavano notizie e storie, e poi c’erano gli uffici stampa con i comunicati che cercavano di far passare sui giornali. Ma in questi anni i social network hanno abbattuto questa distinzione tra giornalisti e comunicatori. Da una parte siamo tutti reporter, tutti con i social network. Dall’altra hanno creato di fatto una nuova figura professionale, quella del Brand Raporter. Tutto questo viene raccontato in questo bel libro, Professione Brand Reporter, brand journalism e nuovo storytelling nell’era digitale, della mia amica Diomira Cennano, scritto insieme al veterano della comunicazione Carlo Fornaro. Io lo sto leggendo e poi farò una recensione più approfondita, però quello che ho visto e letto fino ad ora è un racconto di come si è evoluta la professione del giornalista fino all’arrivo dei social network e decine e decine di casi di brand journalism, il giornalismo che viene fatto dall’azienda, come quando Report, la trasmissione giornalistica della Gabanelli ha affrontato alcune tematiche riguardanti l’ENI e l’azienda sui social network ha fatto una contronarrazione.

Oggi siamo tutti media, lo sono io che mi apro una pagina Facebook, al pari dei giornali e così lo sono anche i Brand e le aziende, che prima con i blog e oggi ancora più massicciamente con i social network fanno comunicazione e informazione in prima persona. Tutt’al più il problema sta nella credibilità. Ovviamente è poco credibile se il brand di birra tal dei tali parla male di un altra birra, anche se si limita ad informare.

Le aziende al pari delle persone e dei giornali stanno tutte nel mercato della editoria, informano per comunicare e quindi farsi conoscere. Inoltre dispongono anche dei capitali, del grano da investire per far arrivare i propri articoli alle persone online. Di fatto potrebbero decidere di non investire più in pubblicità sui giornali e investire sul proprio giornale. O meglio, da una parte i brand e le aziende creano comunicazione e pubblicità, e quindi possono appoggiarsi al media (giornale tv più consono), dall’altra fanno informazione. Il problema è come ho detto quello della credibilità. E’ per questo che se prendi un giornalista cha ha vinto il premio pulitzer e lo metti a capo del tuo giornale aziendale, una volta c’erano gli house organ, i giornali interni all’azienda. Oggi ci apriamo ad un panorama più vasto col pubblico e quindi chi studia giornalismo ha una offerta molto più ampia, quella di lavorare per un giornale, ma anche quella di lavorare per un giornale e per una comunicazione molto più strategica.

Non è un racconto da comunicato stampa, ma è il racconto giornalistico, in prima persona, di chi ha fatto la scoperta con taglio giornalistico. Il brand journalism per essere tale deve essere real time, un po’ come il giornalismo classico, il caso classico è qullo di ENI vs Report, del 2015.

Puoi acquistare “Professione Brand Reporter: Brand journalism e nuovo storytelling nell’era digitale” di Diomira Cennamo e Carlo Fornarosi, qui –> crognali.link/diomira

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