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Kuwait, nell’Emergenza Virus

Questo è un podcast di storie e viaggi, narrato, scritto ed editato da Damiano Crognali, dal mio punto privilegiato a Kuwait City. In questa puntata, la prima, parlo del Kuwait, la città stato che mi ospita. 

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È ancora ramadan, il mese sacro dei musulmani in cui si digiuna e si prega, quando ho registrato questo podcast, io sono in Kuwait, uno degli emirati del Golfo Persico, o Golfo Arabico, come preferiscono chiamarlo da questa parte del mondo. 

Il Kuwait è un piccolissimo lembo di deserto che sfocia sul Golfo, ricchissimo di petrolio, a discapito delle sue piccole dimensioni, è grossomodo grande quanto la Lombardia, ma ha più del dieci percento delle riserve petrolifere del pianeta. 

È famoso perché qui a cavallo del 1990 e 1991 si svolse una aggressione gratuita da parte dell’Iraq al tempo governato da Saddam Hussein che brutalmente privò il Kuwait della propria libertà, e quella aggressione gratuita, che sdegno il mondo e fu ripresa da tutti i media internazionali con una imponente campagna mediatica, portò alla prima Guerra del Golfo, passata alla storia anche come la prima guerra in diretta Tv. 

Per le sue ridotte dimensioni e per il fatto che il territorio è costituito in gran parte di deserto, il Kuwait è di fatto una città stato, c’è la capitale, Kuwait City, o come la chiamano in arabo Maidanat-Al-Kuwait, dove sono le sedi delle aziende e le attività economiche, è il centro di questa città stato, una grossa area metropolitana intorno al quale si trovano tanti piccoli agglomerati urbani, centri abitati sparsi qua e la nel deserto e sulla costa.

In uno di questi vivo io, precisamente a Maidan Hawally, un quartiere che da sulla spiaggia del Golfo a sud di Kuwait City.

Amore per l’Italia

Il Kuwait ha un grande amore per l’Italia e l’emiro ha fatto una grossa donazione all’Italia nei giorni di piena emergenza virus e col paese in lockdown. Nell’ambito di una grandissima donazione fatta all’Organizzazione Mondiale della Sanità per combattere il virus, si parla di 60 milioni di dollari, ha specificato che 5 milioni di dollari siano donati all’Italia.

In questo podcast mi sono fatto aiutare da Laura Cunico e da Antonella Lorenzoni, una donna italiana che vive da vent’anni in Kuwait ed è l’animatrice della Diwania Italia – Kuwait, l’associazione di supporto per gli Italiani in Kuwait che durante le lunghe settimane di lockdown è stata una inesauribile fonte di supporto e informazione per gran parte della comunità italiana qui. Per il suo impegno e la dedizione nel supportare la comunità italiana in Kuwait è stata nominata nel 2014 Cavaliere della Repubblica d’Italia

Emergenza Coronavirus in Kuwait

La diffusione del Coronavirus ha subito nei giorni immediatamente dopo il lockdown dell’Italia una brusca impennata di casi in tutto il Medioriente. Tutti i Paesi del Golfo hanno preso misure simili a quelle dell’Italia già da tempo e si sono di fatto isolati dal mondo esterno, con stop ai voli e controlli rigidi alle frontiere terrestri e per strada.

Qui in Kuwait, l’emiro ha dichiarato da marzo i giorni a seguire come festa nazionale, che vuol dire: state tutti a casa e non uscite, se non per reali motivi.  

Hanno cominciato inizialmente a fare il controllo della febbre per strada, a richiedere l’uso di guanti e mascherine per entrare nei luoghi pubblici e poi progressivamente hanno cominciato a chiudere tutto: bar, cinema, teatri, hanno sospesi anche i mezzi pubblici, taxi compresi, e hanno vietato i riti religiosi. Hanno chiuso le moschee, che in un paese così religioso e musulmano è stata una decisione storica, qui come in Arabia Saudita l’alcool non si può comprare né importare in nessun modo, e la maggior parte degli abitanti indossa i tradizionali vestiti arabi, le Dasdisha.

Si è cominciato prima con un coprifuoco che vietava l’uscita in strada dalla sera alla mattina, con multe di decine di migliaia di euro per i trasgressori, più la galera.

Con l’eccezione dei supermercati e dei Bakala, che sono dei piccoli negozietti che ti riforniscono sotto casa dei generi di prima necessità, ad inizio ramadan era già tutto chiuso e il coprifuoco esteso dalla tarda mattina al primo pomeriggio.

I Paesi arabi del Golfo hanno subito infatti un’ondata di contagi di ritorno dall’Iran, perché quasi tutti i Paesi hanno consistenti minoranze di espatriati iraniani, che vanno e tornano dall’Iran, il paese che all’inizio della pandemia ha avuto il maggior numero di casi e di fatto è stato l’apripista nel medioriente al virus dalla Cina. 

A metà del Ramadan c’è stata la svolta, con decine di migliaia di casi, tra cui anche tre italiani, e quasi duecento morti, su una popolazione di soli quattro milioni di abitanti, di cui appena un quarto sono kuwaitiani, il Parlamento ha deciso il lockdown totale del Paese, tutto chiuso fino alla fine del Ramadan, comprese le Eid, la festa di fine Ramadan che vede festeggiamenti e agglomerati di persone che si riuniscono per celebrare la fine del mese sacro islamico.

La mia personale esperienza di Lockdown in Kuwait

Io e Laura, la mia compagna con la quale vivo in Kuwait, abbiamo fin dall’inizio della Pandemia preso misure precauzionali, come hanno fatto molti altri abbiamo spostato il nostro lavoro a casa, io ho continuato ad andare nel mio studio a Kuwait City solo per registrare qualche cosa, ma di fatto ci siamo reinventati una nuova quotidianità, a casa, in un paese straniero, lontanissimo dall’Italia. Abbiamo avuto la fortuna di avere la spiaggia vicino, a cento metri da casa e così la mattina andavamo a correre sul lungomare e poi abbiamo sistemato la nostra abitazione per ospitare uno studio di registrazione, il mio e gli spazi per lavorare entrambi io e laura, nella stessa abitazione. Grazie a questa Pandemia abbiamo imparato a vivere insieme.

Quando a metà maggio, in pieno ramadan c’è stato il blocco totale del paese, come in Italia, i nostri ritmi si sono spostati al pomeriggio. 

Alla vigilia del blocco avevamo in calendario di viaggiare in Arabia Saudita e Qatar, poi a causa delle voci e delle notizie che arrivavano sul virus dall’Italia, abbiamo preferito non viaggiare ed è stata la nostra salvezza, se avessimo preso quell’aereo, al nostro ritorno non saremmo potuti rientrare a casa. Insomma, noi siamo stati molto fortunati, ma non è stato così per tantissimi altri.

Il lockdown, infatti, è stato totale e senza deroghe se non quella per poter andare a fare la spesa nel supermercato più vicino a casa previa richiesta di appuntamento tramite un sito governativo he ti rilasciava un quarkcode da mostrare alla polizia che ha messo i blocchi per strada. L’altra deroga è stata costituita da due ore d’aria, se possiamo chiamarle così, che sono state permesse al cavallo del tramonto, che nel mio causo e di Laura hanno sostituito le passeggiate in spiaggia della mattina. Potevamo passare il tramonto al mare, fare una corsa e poi rientrare a casa dove abbiamo iniziato a fare un corso di tango online per approfittare della quarantena anche per imparare qualcosa di nuovo. Insomma, per me è stato sinceramente un bel periodo. Ma sono stato fortunato, non è stato così per tantissimi altri. 

Il problema per gli Italiani bloccati all’estero

Il Kuwait è stato il primo stato che ha preso misure per fronteggiare il virus, che potrei definire draconiane, perché sapeva che per la sua posizione come crocevia con l’asia poteva essere uno di quelli più colpiti. E infatti ancora non ha contenuto la diffusione del virus, con una media di mille nuovi contagi al giorno. Qui accanto c’è l’Iraq, ma sopratutto c’è l’Iran che come abbiamo detto all’inizio della pandemia è stato uno degli stati più colpiti dall’emergenza sanitaria.

Proprio per questo, è stato il primo a chiudere gli aeroporti, sia con l’Italia e  con l’Iran, i due paesi più colpiti. E lo ha fatto nel momento potrei dire più critico per i tanti expat che vivono nel paese, i tre quarti dell’intera popolazione, di cui poco meno di un migliaio, tra residenti e temporanei, sono italiani.  Le frontiere sono state chiuse al mondo alla vigilia dei giorni di festa nazionale, che celebrano l’indipendenza del paese e la liberazione dall’Iraq, il 25 e 26 febbraio. In quei giorni, gran parte di chi abita qui coglie l’occasione dei giorni di festa per far ritorno a casa, nei paesi d’origine, a trovare le famiglie, oppure per viaggiare in vacanza. Il paese si svuota come in agosto, per le vacanze estive. Solo che questa volta al ritorno moltissimi expat si sono visti negare l’ingresso se provenivano dai paesi a rischio contagio. In questo frangente il passaporto italiano è diventato un problema e alcuni connazionali sono stati rimbalzati all’arrivo in aereoporto, anche se erano residenti qui, se avevano casa e la loro vita in Kuwait. 

L’altro problema è stato quello delle famiglie divise, alcuni che hanno viaggiato e altri rimasti nel paese che sono rimasti divisi e bloccati. Perché gli aeroporti sono stati chiusi, voli commerciali compresi. Con la preoccupazione che lasciare il Kuwait significa non sapere più quando si può rientrare e rimettere piede nel territorio. Ovviamente chi è rimasto fuori il Kuwait ha perso il lavoro.

Il governo kuwaitiano ha alzato gli scudi ed è stato inflessibile nella lotta al contenimento del virus, con la costruzione di imponenti centri sanitari nel deserto, per curare e isolare chi è stato contagiato.

A questo si è aggiunto il problema dei visti, che mi ha toccato personalmente ed è ovviamente molto importante per un paese fatto di tre quarti di non kuwaitiani. I visti in scadenza possono essere rinnovati attraverso procedure non semplicissime, che richiedono la presenza di sponsor locali e che non sto qui ora a spiegarvi, che con la chiusura degli uffici e lo spostamento di tutta la trafila online sono diventate una odissea, con la paura ovviamente di avere poi problemi legali in un paese molto accogliente ma al tempo stesso altrettanto rigido sulle regole.

Storia del Kuwait

Durante l’inizio dell’emergenza coronavisrus qui in Kuwait, stavo camminando sotto la torre della liberazione, mentre preparavo un servizio video. Trent’anni prima qui avveniva un altro fatto che gettò il mondo nella paura, ma allora era della guerra, l’aggressione gratuita di uno stato sovrano, il Kuwait, ad opera di un dittatore: Saddam Hussein. Quello fu l’inizio di una serie di eventi le cui conseguenze le viviamo ancora oggi. Allora a cavallo tra il 1990 e il 1991 abbiamo scoperto il mondo arabo e le sue questioni aperte. La Torre della Liberazione è un edificio costruito all’indomani del rientro dell’emiro Al Sabah per celebrare la liberazione del Kuwait dall’Iraq. Quell’aggressione gratuita di uno stato sovrano, il Kuwait ad opera di un dittatore, Saddam Hussein fu un fatto che riportò la memoria di molti alla Seconda Guerra Mondiale. Dopo oltre quaranta anni di relativa pace mondiale nessuno credeva si potesse ancora avverare un fatto come quello di allora: quella che è passata alla storia come il primo conflitto “in diretta TV”, una guerra le cui immagini per la prima volta furono mostrate sugli schermi dei televisori di tutto il mondo. Le vicende dell’invasione furono traumatiche anche perché tutti furono colti di sorpresa. Anche l’Arabia Saudita iniziò a tremare a quel punto, temendo un attacco iracheno, così re Fahd dell’Arabia Saudita chiese all’Assemblea degli Ulema, la più alta autorità religiosa saudita, di emettere una fatwa in cui si autorizzava l’ingresso di truppe americane nel paese. In questo momento fa la sua comparsa nella storia anche il rampollo di una ricca famiglia saudita, Osama Bin Laden che si sentì tradito da quelle decisioni prese dai sovrani musulmani e a seguito di quei fatti, maturò nella sua mente l’idea di creare Al Qaida. Ma nonostante le proteste delle fazioni arabe più ortodosse, nel giro di pochi mesi mezzo milione di soldati americani ed enormi quantità di materiale bellico furono schierate in Arabia Saudita lungo il confine iracheno. La vera e propria “guerra in diretta TV” cominciò la notte del 17 gennaio, quando l’aviazione americana iniziò a bombardare l’esercito iracheno. Quelle immagini di guerra che furono trasmesse dalla Tv a seguire dei famosi mondiali di Italia 90, che si svolsero nel nostro paese, furono i miei primi ricordi da bambino al punto che decisi di diventare giornalista, avrei voluto essere come quegli Anchor americani che da Baghdad informavano il mondo su quella guerra. Il destino ha voluto che lo sarei diventato trent’anni dopo proprio da Kuwait City.

La campagna militare durò appena cinque settimane e impiegò in quei 45 giorni un dispiegamento di forze che non si vedeva dalla Seconda Guerra Mondiale. Il 24 febbraio cominciarono anche le operazioni via terra in Kuwait, che durarono soltanto cento ore. Gli iracheni si arresero in massa e Saddam diede ordine alle truppe in ritirata di incendiare i pozzi di petrolio del Kuwait, un fatto le cui conseguenze sulla salute dell’ambiente in Kuwait si vedono ancora oggi. Il 28 febbraio le truppe della coalizione terminarono la liberazione del paese e il presidente Bush proclamò un cessate il fuoco unilaterale. Gli Alleati decisero di non avanzare oltre lasciando agli iracheni il compito di rimuovere Hussein, ma il regime del tiranno non collassò e sopravvisse per altri 12 anni. 

Dietro questi eventi di macro storia ci sono storie, luoghi e fatti in Kuwait, il paese invaso, che meritano di essere raccontati, per conoscere il mondo arabo, per capire che cosa vuol dire essere invasi e per contestualizzare meglio le vicende storiche. Un episodio significativo è il ritiro da Jahra, lungo l’autostrada della morte, perché furono bombardati e sterminati in massa i soldati iracheni in ritirata. Jahra è anche il luogo dove nell’antichità c’è stato il primo nucleo del Kuwait, che in arabo vuol dire fortino accanto alla costa. 

Il Kuwait nato come un piccolo villaggio di pescatori nel diciassettesimo secolo, grazie alla sua posizione strategica al centro del golfo arabico, diventò un centro importante, prima per la pesca delle perle e per la costruzione di barche, ma poi per la scoperta del petrolio, nel 1938. 

Dal diciassettesimo secolo governa il Kuwait la famiglia Al-Sabah, una dinastia che ha avuto una sola interruzione, in quei sette mesi di occupazione dell’Iraq, iniziati nel 1990.

Il Futuro del Kuwait

Il Kuwait è stato ovviamente ricostruito più volte nella sua storia e continua ad espandersi e costruire nuove aree, finalmente è stato anche inaugurato il ponte sulla Baia del Kuwait, si chiama Jaber Causeway, è dedicata all’emiro defunto Jaber al Ahmad al Sabah che ha combattuto la prima guerra del golfo, che è considerato uno dei ponti più lunghi al mondo, conta 36 km e unisce da parte a parte la baia del Kuwait, da una parte c’è kuwait city, dall’altra la base per una nuova area di sviluppo economico. Entro il 2035 sorgerà Madinat Al-Hareer, madinat significa città, hareer significa seta, e da tutti è chiamata alla occidentale, silk city, la città sulla via della seta, perché collegherà le rotte commerciali di europa e asia, evocando l’antica rotta della via della Seta alla quale la nuova città dovrebbe ispirarsi per diventare un attrattore e una via di scambio dei commerci mondiali. Voluta dall’Emiro del Kuwait con l’idea di ridurre la dipendenza economica del paese dal petrolio. Ci sono voluti quasi 5 anni, tempo quasi inimmaginabili per l’italia sopratutto per una opera di questa portata. quasi un anno di ritardo sul previsto e un costo stimato di 3 miliardi e mezzo di dollari.

Per la prima volta una opera che ambisce al primato mondiale non viene realizzata a Dubai, la città dei record, e questo è un bel segno perché significa che finalmente l’emirato dell’area del golfo che era rimasto indietro rispetto agli altri paesi dell’area proprio a causa di quella guerra e dell’invasione dell’Iraq. segna un bel traguardo per il Kuwait.

Il Kuwait investirà altri 100 miliardi di dollari per costruire una nuova area urbana , tutto questo ovviamente a patto che si riesca a sconfiggere e battere questo nuovo nemico del golfo, che ha dichiarato guerra al mondo intero e che si chiama coronavirus.